MONTECHIARUGOLO
Il castello di Montechiarugolo si erge sulla riva sinistra del torrente Enza, nella strategica posizione di confine tra il parmense ed il reggiano e poggia le fondamenta su un terrazzo naturale da cui deriva il toponimo del suo nome Monticulus Rivoli.
Il cortile centrale, al quale si accede tramite un ponte in muratura che ha sostituito il ponte levatoio, è caratterizzato da un porticato con colonne in cotto poligonali e capitelli a foglia di loto. Qui il ricordo degli assalti convive con quello della raffinata vita di corte come testimoniano da un lato le antiche palle di cannone rinvenute nel fossato e dall’altro le due eleganti statue settecentesche provenienti da Colorno. Dal cortile, che doveva servire in origine per la raccolta e il movimento dei soldati, si accede al piccolo cortile del pozzo e alla torre quadrata. Quest’ultima, situata sul lato occidentale del cortile, è orientata secondo i punti cardinali a controllare la strada di accesso al borgo.
In contrasto con le severe mura esterne, varcata la soglia delle sale di rappresentanza, ci si trova immersi in un delicato mondo rinascimentale. L’impronta gentilizia di questi saloni si deve soprattutto alla volontà di Pomponio Torelli (1539-1608); raffinato umanista, colto letterato, amante della poesia e della pittura, fu senz’altro il principale ispiratore dei cicli pittorici contenuti nel castello.
Dalla corte interna del castello si entra nel vasto salone rettangolare, detto delle feste. La decorazione, tipicamente tardo cinquecentesca nel repertorio ornamentale e nell’impaginazione è senz’altro databile alla seconda metà del XVI secolo. Tutto il ciclo decorativo è stato realizzato dalla scuola del Baglione.
La camera senz’altro più significativa come testimonianza della colta commissione pittorica voluta da Pomponio Torelli è detta camera Antica: otto grandi figure allegoriche di ampio impatto pittorico spiccano tra la volta a crociera e le quattro vele laterali. Attorno a queste si dispongono contorti putti monocromi, mentre grandi figure di angeli cariatidi si addossano ai costoloni. Non è tutt’ora chiaro il significato delle immagini.
Nella Sala dei Quattro Elementi o delle Sirene sono conservate quattro grandi tele a tempera eseguite da Domenico Muzzi nella seconda metà del Settecento e raffiguranti L’Acqua, l’Aria, la Terra e il Fuoco. Già al servizio dei Borbone, le tele provengono infatti dalla Reggia di Colorno. Sul lato orientale della parete è interessante notare il frammento del ciclo pittorico cinquecentesco originale della sala raffigurante una nave. Si pensa, visto che da un antico inventario questa sala viene identificata come “Camera delle serene e del galeone”, che l’immagine sia da riferirsi all’episodio omerico di Ulisse e le sirene.
Il capolavoro pittorico di tutto l’edificio si trova probabilmente in quella che viene definita la Camera di Mezzo: nella profonda strombatura della finestra aperta sul loggiato sono dipinte le figure dell’Arcangelo Gabriele a sinistra e della Vergine a destra.
Accessibile da tutte le quattro grandi sale disposte lungo il lato orientale del castello, l’incantevole loggia affrescata esisteva probabilmente già ai tempi di Guido Torelli. Ed è probabilmente il punto più bello del castello: oltre a una magnifica vista sul parco dell’Enza, vi si può ammirare un vivace ciclo decorativo di fattura quattrocentesca, magistralmente restaurato. Sulle pareti, inoltre, decorate con motivi a losanghe entro cui serpeggia il biscione visconteo, Il recente restauro ha reso possibile rileggere ampie parti di un vero e proprio diario storico degli avvenimenti avvenuti in loco, che offrono un suggestivo panorama della vita alla corte dei Torelli. (si legge ad esempio che il 10 ottobre del 1491 Barbara Torelli partì da Montechiarugolo alla volta di Pisa per andare in sposa ad Ercole Bentivoglio; o ancora suggestiva è l’iscrizione che testimonia il passaggio nel 1594 del Duca Ranuccio Farnese “alla caccia del cinghiale nei boschi di Motechiarugolo”)
Suggestivi e ben conservati, anche se non aperti al pubblico, sono i camminamenti di ronda coperti.
TORRECHIARA
Il castello di Torrechiara sorge sulle colline vicino a Langhirano a soli 18 km da Parma. La sua posizione elevata gli permette di dominare perfettamente la vallata dove scorre il torrente Parma, punto di incontro tra la città e la montagna poco distante. Sorge dove un tempo era un casaforte del Duecento di cui rimangono pochi tratti. Fu fatto edificare dalla famiglia Rossi nel Quattrocento con funzione difensiva (attestata da tre cerchia di mura e da quattro torri angolari), ma al tempo stesso come ritiro isolato del conte per la sua amante Bianca Pellegrini di Arluno (provata dalla ricchezza degli affreschi a ‘grottesche’ di Cesare Baglione). Il maniero è tutt’oggi considerato un esempio tra i meglio conservati di architettura castellare in Italia, poiché unisce elementi medievali e rinascimentali. Straordinaria è la “Camera d’Oro”, attribuita a Benedetto Bembo, per celebrare, ad un tempo, la delicata storia d’amore tra Pier Maria Rossi e Bianca Pellegrini e la potenza del casato attraverso la raffigurazione di tutti i castelli del feudo.
Originariamente il castello era difeso da tre cerchia di mura: la prima circondava la collina su cui sorge, la seconda proteggeva il borgo e la terza riparava il castello vero e proprio. Vi erano in origine anche due fossati, uno a protezione del borgo, l’altro del castello, l’unico visibile ancora oggi. Le torri quadrate, collegate fra di loro da una doppia cinta di mura, un tempo merlate e poi coperte dal tetto, circoscrivono il cortile interno o Corte d’Onore. La torre di S. Nicomede si trova sopra l’omonima cappella dove pare vi siano le tombe vuote di Pier Maria Rossi e Bianca Pellegrini. Da qui si può osservare tutta la valle del Parma verso Langhirano. La torre che guarda ad est è invece detta la torre della Camera d’Oro, perché lì è situata la splendida stanza omonima. A Nord si trova la torre più alta, il mastio, detta torre del Leone, dallo stemma nobiliare della famiglia dei Rossi.
L’interno è ricchissimo di sale sontuosamente affrescate principalmente a temi naturalistici, fantastici e a grottesche. I nomi delle sale richiamano il tema principale dell’affresco. Al piano terreno troviamo: L’Oratorio di San Nicomede, all’interno dell’omonima torre a cui si accede dal portico della corte attraverso un portone di legno. Gli unici arredi risalenti al ‘400 provengono dall’oratorio stesso ed ora sono custoditi all’interno del Museo del Castello Sforzesco di Milano. Secondo le cronache, Bianca e Pier Maria assistevano alle funzioni dietro ad una tribunetta lignea, anche questa conservata al Castello Sforzesco, intarsiata con gli stessi motivi presenti nelle formelle della Camera d’Oro.
Subito alla sinistra della cappella si trova la sala di Giove, affrescata dal Baglione. Sul soffitto con volta a botte ed entro una cornice è rappresentato Giove intento a scagliare un fulmine e con accanto un’aquila, suo simbolo. La sala dei Paesaggi deve il suo nome ai soggetti raffigurati in quattro cartigli ovali che spiccano fra le grottesche della volta a botte. La sala degli Angeli, è così detta per gli angeli che decorano la volta a crociera, e fa da raccordo fra la sala della Vittoria, l’orto che esisteva sullo spalto di sud-est e le cucine.
Procedendo, si giunge alla cucina, dove sono ancora visibili l’acquaio, un grande focolare e un piccolo scaldavivande. A nord sono poste le dispense.
Il salone degli Stemmi occupa l’intero lato nord orientale fra la torre della Camere d’Oro e la torre del Leone, ed era, probabilmente una sala di rappresentanza. Deve il nome agli otto stemmi che ornano le pareti, fra cui si notano quelli di Papa Giulio III del Monte, di Papa Pio IV Medici e di Papa Paolo III Farnese.
Al primo piano, il piano nobile, si trovano: la sala dei Giocolieri o degli Acrobati occupa l’intero lato nord-occidentale del castello. Il nome è dovuto alla composizione delle figure dipinte sopra al camino: un gruppo di giocolieri in equilibrio su quattro leoni mentre eseguono complicati esercizi coi cerchi. La Camera d’Oro, la più famosa stanza all’interno del castello, occupa l’intero primo piano della torre omonima, quella di nord-est. Era la camera da letto di Pier Maria Rossi, che la fece affrescare dal pittore Benedetto Bembo. La stanza doveva avere anche funzioni di studiolo privato come sembrerebbe essere dimostrato dalla diversa decorazione presente nella parte dell’angolo a nord- est. Sulle pareti sono dipinte figure storiche e mitologiche. La camera era così chiamata in virtù della decorazione a foglie d’oro che ricopriva le formelle in cotto che rivestono interamente la stanza, purtroppo asportate all’inizio del XX secolo
La leggenda vuole che nel castello di Torrechiara, durante le notti di plenilunio, in cui la nebbia avvolge il castello, appaia il fantasma di una bellissima duchessa, murata viva dal marito, che vaga nella torre del maniero offrendo baci appassionati agli uomini che la incontrano. È senz’altro il castello più spettacolare, internamente ben conservato e ricco di atmosfere della provincia di Parma. Per questo motivo è stato usato come set cinematografico di film come Ladyhawke di Richard Donner
SALA BAGANZA
Nei pressi del torrente Baganza, ritroviamo questo castello sulle prime colline dell’Appennino. Aveva un ruolo di primaria importanza all’interno del sistema difensivo dei castelli parmensi. Possedimento dei Sanvitale prima (periodo di maggior ricchezza) e, Con la “Gran Giustizia” di Ranuccio Farnese del 1612, dei Farnese poi (che ne lo arricchiscono di un piano nobile), la ritroviamo alla fine del ‘600 tra i territori dei Borbone. Il trasferimento della residenza Farnese a Colorno coincide con l’inizio del declino per la rocca, che raggiunge il suo culmine con l’opera distruttiva di Michele Varron, tenente che nel 1804 ebbe in dono l’intera struttura da Napoleone. In questo periodo vengono abbattute alcune ali del castello, che acquista poi la fisionomia attuale e rimane privato fino al 1987, quando il Comune si appropria dell’ala nord, la parte cinquecentesca, intraprendendo un’opera di restauro da poco conclusa. Oggi la rocca ha l’aspetto di un parallelepipedo delimitato da due torrioni. Le sale, recentemente restaurate, mettono in mostra affreschi e decorazioni di epoca cinquecentesca, alcune opera del Baglione.
BARDI
Arroccata da più di mille anni sopra uno sperone di diaspro rosso, la Fortezza di Bardi rappresenta il massimo esempio di architettura militare in Emilia Romagna. Appartenne dalla metà del Duecento, e per oltre quattro secoli, ai Landi e solo verso la fine del Cinquecento viene parzialmente trasformata in elitaria dimora patrizia.
Degni di nota sono i camminamenti di ronda, le torri, la piazza d’armi, il cortile d’onore porticato, il pozzo, la ghiacciaia, i granai, le stalle, le grotte, le prigioni e le sale di tortura. All’interno del Castello trovano altresì collocazione diverse realtà museali, ovvero: Il Museo della Civiltà Valligiana, Il Museo del Bracconaggio e Il Museo degli Alpini
Il Museo della Civiltà Valligiana è collocato nell’ala Sud della Fortezza (nella parte originariamente dedicata ai soldati e poi, verso la fine del XVI secolo, alle funzioni amministrative dello Stato Landi). Il museo si propone di illustrare gli stili ed i mestieri della vita contadina, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Nella prima parte vi si trovano gli allestimenti di stanze quali La Cucina, La Camera da Letto ed I Lavori Domestici; ambienti che presentano in maniera dettagliata come venivano combattuti i principali “nemici” della vita contadina: lo sperpero ed il freddo. Nella seconda parte è invece possibile ammirare i principali mestieri presenti in ogni comunità contadina autonoma, fortemente legati al bosco ed alla pastorizia.
In altre parti della Fortezza, quali le “Stalle”, si possono osservare gli oggetti di maggior dimensioni, le slitte per la legna e gli aratri, mentre nelle “Case di una volta” si cerca di ricostruire una delle case popolari presenti nella Fortezza fino alla metà degli anni 50.
Il Museo del Bracconaggio è collocato anch’esso nell’ala sud della Fortezza. Il museo si propone di illustrare, attraverso una serie di diorami, le tecniche usate dai bracconieri nella val Ceno. Oggi giorno è una pratica illegale di caccia, ma agli inizi del XX secolo era una delle “professioni” più diffuse fra la povera gente, che non disponeva di mezzi con cui nutrirsi. E’ parte integrante dei mestieri della vita contadina valligiana e si integra con gli scopi del Museo della Civiltà Valligiana.
Il Museo viene quindi riconvertito in Museo della Fauna e del Bracconaggio, volto soprattutto ad illustrare alcuni elementi faunistici autoctoni ed il tema della protezione della fauna. Il museo si suddivide su quattro sale con percorso lineare.
Il Museo degli Alpini “Pietro Cella” è allestito all’interno della fortezza in 5 sale, le cosiddette “Sale Alpine”, dedicate al bardigiano capitano Pietro Cella 1ª Medaglia d’oro del Corpo (Adua 1896).
Di Bardi come fortezza carceraria restano poche vestigia, tuttavia una sala nella parte più antica del castello ospita attualmente una collezione di oggetti di tortura. Si tratta di materiale appartenente a diverse epoche, dal periodo dell’Inquisizione al XVIII secolo, quando certe pratiche nei sistemi carcerari e negli interrogatori, fortunatamente, cominciarono ad essere abbandonate.
In abbinamento al fascino destato dalla sala delle torture è la leggenda del fantasma di Moroello: questi fu un comandante delle guardie nel 1400, la cui amata, credendolo morto, si gettò dalla rupe. Egli affranto dal dolore fece poi altrettanto e oggi il suo fantasma, si dice, di tanto in tanto riappare.
Dopo il periodo di restauro in cui l’ìedificio era visitabile solo parzialmente, a giugno 2012 la Rocca di Bardi è tornata ad essere completamente visitabile, con un percorso di visita ampliato.
COMPIANO
Qualificato come uno dei “Borghi più belli d’Italia”, Compiano ha il privilegio di un’invidiabile posizione, distesa lungo il crinale di un colle che domina il percorso del fiume Taro e i valichi appenninici di collegamento tra l’Emilia, la Toscana e la Liguria. Il Castello di Compiano è una fortificazione che sorge in alta val di Taro ed è strettamente collegata al piccolo borgo omonimo, che domina dall’alto. Il maniero presenta una struttura massiccia, con una pianta a pentagono irregolare, chiusa da tre torri rotonde “alla piacentina” e da una quadrata di fattura più antica. L’accesso, in un unico punto, è consentito da un ponte in muratura preceduto da un particolare rivellino semicircolare.
All’interno, vi sono due importanti Musei: la Collezione “Raimondi Gambarotta”, costituita da oggetti d’arte, arredi e dipinti sei-settecenteschi e l’unico Museo Massonico in Italia denominato “Orizzonti Massonici”. Una considerevole parte del castello è stata adibita a Relais-Foresteria con un moderno centro convegni, parco e piscina: il recente restauro dell’edificio ha, infatti, consentito di ricavare tredici camere, per offrire un raffinato soggiorno ricco di stimoli culturali in totale quiete, lontano dal caos.
SORAGNA
Benchè di origine fortilizia, costruita a pianta quadrata con torrioni ai lati alla fine del ‘300, fu modificata e trasformata in dimora signorile alla fine del Seicento. A cavallo tra Sei e Settecento poi, i principi Meli Lupi apportarono ulteriori modifiche che l’hanno resa come la possiamo visitare noi oggi. Un ponte in muratura del XVII secolo sostituì quello levatoio e introduce nel cortile porticato della Rocca, arricchito da statue a soggetto mitologico e allegorico. Anche la rocca di Soragna, come tutti i rispettabili castelli ha la leggenda del suo fantasma:“Donna Cenerina”, per quel colore biondo cenere dei capelli che ornano lo spirito di Cassandra Marinoni, uccisa nel 1573 dal cognato Giulio Anguissola per motivi di interesse. E la leggenda narra che il fantasma faccia la sua apparizione ogni volta che muore un membro della famiglia.
Questo ed altro regala al viaggiatore curioso l’antico castello di Soragna, capace ancora oggi di dischiudere visioni, atmosfere tangibili di mondi lontani, tesori d’arte, clip pittorici, saloni magnificamente affrescati, salottini, arredi, gallerie di antenati, sale d’armi. Fu per volere della famiglia Meli-Lupi, tutt’ora proprietaria, che venne aperta al pubblico.
COLORNO
La funzione principale del primo edificio costruito intorno al XIII secolo fu difesa dell’Oltrepò. In questo periodo, appartenne a nobili famiglie, quali i da Correggio e i Terzi. Fu poi con la famiglia Sanseverino ed in particolare con la colta e amabile Barbara Sanseverino che da antica rocca venne trasformata in dimora signorile e raggiunse grande splendore fra Cinque e Seicento. Fu lei che rese il Palazzo sede di una raffinata vita di corte, raccogliendovi dipinti di Tiziano, Giulio Romano, Correggio, Mantegna e Raffaello.
In seguito alla decapitazione ed alla confisca dei beni della Contessa Barbara Sanseverino, per ordine del Duca Ranuccio I, Colorno e la sua rocca passarono ai Farnese all’inizio del Seicento. Fu il Duca Ranuccio II Farnese che, nel 1660, cominciò i grandi lavori che conferirono alla rocca l’attuale aspetto di residenza barocca. Molti interventi furono progettati dall’architetto di Corte Ferdinando Galli Bibiena: il Palazzo, il giardino e le fontane di Colorno, divennero famosi presso le altre Corti per il loro fasto e la loro bellezza. E’sempre grazie ai Farnese, a Francesco farnese per la precisione che si deve l’edificazione della cappella ducale dedicata a San Liborio nel 1722. L’interno rappresenta un raro esempio di perfetta integrazione tra struttura architettonica, ornamentazione e arredo, grazie ad una esecuzione avvenuta nel corso di pochi anni e all’assenza di trasformazioni di rilievo.
La Cappella possiede uno dei più interessanti e pregevoli organi antichi oggi esistenti, costruito dai Fratelli Serassi tra il 1792 e il 1796.
Ai Farnese successero i Borbone. A partire dal 1750, durante il regno di don Filippo di Borbone al Palazzo lavorarono l’architetto Petitòt e lo scultore Boudard; il Teatro di Corte ospitava regolarmente compagnie francesi e italiane, tra cui quella del grande commediografo Carlo Goldoni. Un ulteriore ampliamento si ebbe grazie a Ferdinando I di Borbone che, più attratto dalla vita ecclesiastica che da quella matrimoniale, dopo vent’anni di matrimonio con una delle figlie dell’Imperatrice Teresa d’Austria, si ritirò in un appartamento attiguo al piano nobile: nel quale si ritrovano preziosi affreschi di Antonio Bresciani raffiguranti scene bibliche. All’ultimo piano c’è l’Osservatorio Astronomico: nella volta sono raffigurati la rosa dei venti e i segni zodiacali e di grande effetto illusionistico è la prospettiva di balconata dipinta nel punto di raccordo con la volta.
Con il Congresso di Vienna nel 1815 il Palazzo venne dichiarato “Imperiale” (cioè residenza eventuale dell’imperatore dei francesi), e assegnato alla moglie di Napoleone Maria Luigia d’Asburgo, Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla dal 1816 al 1847. Nel trentennio del suo ottimo governo ella rivolse diverse attenzioni sia al giardino, trasformato all’inglese, che al Palazzo, restaurato nel 1817 e poi nel 1839. Alla sua morte tornarono i Borbone, con Carlo III e la moglie, Luisa Maria du Berry, dal 1847 al 1859. Attualmente il Palazzo è sede di mostre ed esposizioni e i giardini sono aperti al pubblico.
SCIPIONE
Il Castello di Scipione si innalza sulle colline che dominano il parco naturale dello Stirone, a pochi minuti da Salsomaggiore, in un piccolo e suggestivo borgo di origine medioevale. La leggenda vuole che debba il suo nome ad una preesistente villa romana costruita dalla famiglia del distruttore di Cartagine. In epoca medievale, il castello aveva funzione difensiva nei confronti dei numerosi pozzi di sale di cui i Marchesi Pallavicino erano i maggiori produttori e i più potenti arbitri del mercato, promuovendo lo sviluppo delle fabbriche e scavando nuovi pozzi intorno a Salsomaggiore. Il sale, elemento indispensabile per la conservazione del cibo, è stato per millenni una delle merci più ricercate e preziose. Le stesse acque salsoiodiche dalle quali un tempo si estraeva il sale sono oggi apprezzate per il loro elevato potere curativo e hanno dato origine al termalismo di Salsomaggiore. All’interno del Castello sono rimasti conservati i soffitti a cassettoni, gli affreschi e le decorazioni originali. L’ampia terrazza con l’elegante loggiato del Seicento, il grande giardino e i saloni interni fanno del Castello di Scipione la cornice ideale per ogni evento.
FONTANELLATO
La Rocca è conosciuta anche come Rocca Sanvitale. Questi ultimi detennero il possesso del del territorio di Fontanellato dal 1378 facendo costruire la parte più antica del castello, la torre quadrata posta a nord e la cinta muraria. Nel Quattrocento il feudo si affranca dal Comune di Parma restando fedele al ducato di Milano. Dopo la caduta di Ludovico il Moro, i Sanvitale si schierarono a favore del Re di Francia. Galeazzo Sanvitale fu il committente al Parmigianino (autore dell’affresco della saletta detta oggi di Diana e Atteone) e giurò fedeltà a Pier Luigi Farnese e, il secolo successivo, si videro coinvolti nella congiura in cui persero la vita Barbara Sanseverino, che aveva sposato in prime nozze Giberto Sanvitale, suo figlio Girolamo e Alfonso. Della nobile famiglia si ricordano inoltre Jacopo Antonio III che fu, con il poeta Carlo Innocenzo Frugoni, il fondatore dell’Arcadia Parmense, Fortuniano che pubblicò diverse opere letterarie e Alessandro che fondò ospizi di educazione e di avviamento professionale per maschi e femmine. Impasretatisi anche con Maria Luigia d’Austria, dopo un periodo di esilio e sequestro dei beni, il castello tornò alla famiglia fino al Conte Giovanni che vendette il Castello al Comune di Fontanellato nel 1948.
Edificato al centro dell’omonimo borgo e circondato da ampio fossato d’acqua, conserva uno dei capolavori del manierismo italiano, la saletta dipinta dal Parmigianino nel 1524 con il mito di Diana e Atteone. Ha pianta quadrata con muri merlati e quattro torri angolari ed è tutt’oggi circondata da un ampio fossato alimentato un tempo dall’acqua prodotta da una risorgiva e risistemato all’inizio del XVII secolo; l’entrata sul cortile interno avviene attraverso un ponte levatoio. Perfettamente conservato inoltre è l’appartamento nobile dei Sanvitale, conti che la tennero sino al 1948, con mobili e suppellettili del Cinque, Sei, Sette e Ottocento, alcuni dei quali di fattezze curiose od originali anche per l’epoca. E, come i castellani di un tempo, dalla “Camera ottica”, grazie ad un ingegnoso sistema di lenti e di prismi, si può ancora curiosare, stando segretamente nascosti, sulla vita della piazza.
SAN SECONDO
Se si visita il castello di Torrechiara, all’interno della Camera d’Oro, si può ammirare un grandioso affresco che riproduce tutte le rocche che furono possedimento dei Rossi in epoca medievale e rinascimentale. Tra questi, spicca la rocca di San Secondo, rappresentato come una fortezza con quattro torrioni e l’alto mastio centrale. La costruzione del castello comincia intorno al 1385. La roccaforte si trova in una posizione strategica lungo la via Francigena che unisce Milano a Parma, proseguendo poi verso Roma. Appena a oriente scorre il Taro, nel tratto finale prima di confluire in Po, navigabile fino alla foce. Con l’avvento della famiglia Rossi, imparentata nel Cinquecento con le più importanti famiglie italiane – i Riario, gli Sforza, i Medici, i Gonzaga – l’antico castello di difesa viene trasformato in signorile residenza rinascimentale. Per tutto il XVI secolo la Corte resta aperta alla collaborazione ed al mecenatismo di artisti e letterati insigni, da Pietro Bembo a Francesco Mazzola detto il Parmigianino, da Benvenuto Cellini al sommo Pietro Aretino, il flagello dei Principi.
Tutte le Sale vengono abbellite con notevole sfarzo. Da notare la Sala dell’Asino d’Oro con col magnifico ed originale affresco che racconta la vicenda dell’omonimo romanzo di Apuleio, diciassette quadri per un autentico fumetto ante litteram. Dello stesso periodo è la Sala dei Cesari e lo studiolo del Conte Pier Maria III, di evidente scuola mantovana (allievi di Giulio Romano).
Nella Galleria di Esopo e nelle Sale delle Favole l’iconografia riflette i momenti politici vissuti dalla famiglia con feroci allusioni ai contrasti con il potere costituito. Le Sale di rappresentanza sono ispirate alla mitologia classica, con chiari riferimenti al rimpianto per le posizioni perdute ed immagini simboliche per ingraziarsi i Farnese, nuovi signori di Parma
La grandiosa e magnifica Sala delle Gesta Rossiane, con il suo imponente affresco di 1200 mq celebra la storia e le grandi imprese della nobile famiglia dal 1199 al 1542.
ROCCABIANCA